S. BERNARDO MONACO RIFORMATORE E CANTORE DI MARIA
Stendardo dedicato a San Bernardo, conservato presso la Chiesa Parrocchiale di San Bernardo in Costalunga. |
Il suo nome, in
tedesco, significa ardito come un orso. San Berardo fu abate, è dottore della
Chiesa ed è anche patrono degli apicoltori. Terzo di sette
fratelli, nacque nel 1090 da Tescelino il Sauro, vassallo di Oddone I di
Borgogna, e da Aletta, figlia di Bernardo di Montbard, anch'egli vassallo del
duca di Borgogna. Studiò solo grammatica e retorica (non tutte le sette arti
liberali, dunque) nella scuola dei canonici di Nôtre Dame di Saint-Vorles, presso
Châtillon-sur-Seine, dove la famiglia aveva dei possedimenti.
Nel 1115, insieme con
dodici compagni, tra i quali erano quattro fratelli, uno zio e un cugino, si
trasferì nella proprietà di un parente, nella regione della Champagne, che
aveva donato ai monaci un vasto terreno sulle rive del fiume Aube, nella
diocesi di Langres perché vi fosse costruito un nuovo monastero
cistercense: essi chiamarono quella valle Clairvaux,
Chiaravalle.
È riservato, quasi
timido. Ma c’è il carattere. Papa e Chiesa sono le sue stelle fisse, ma tanti
ecclesiastici gli vanno di traverso. È severo anche coi monaci di Cluny,
secondo lui troppo levigati, con chiese troppo adorne, «mentre il povero ha
fame». Ai suoi cistercensi chiede meno funzioni, meno letture e tanto lavoro. Invia
per l’Europa incolta i suoi mitici monaci dissodatori, apostoli con la zappa,
che mettono ordine tra terre abbandonate e acque non domate, e con esse gli
animali, cambiando con fatica e preghiera la storia europea. E lui, il capo, è chiamato spesso a missioni di vertice, come
quando percorre tutta l’Europa per farvi riconoscere il papa Innocenzo II
(Gregorio Papareschi) insidiato dall’antipapa Pietro de’ Pierleoni (Anacleto
II). E lo scisma finisce, con l’aiuto del suo prestigio, del suo
vigore persuasivo, ma soprattutto della sua umiltà.
Eugenio III lo chiama poi a predicare la crociata (la
seconda) in difesa del regno cristiano di Gerusalemme. Ma l’impresa fallirà
davanti a Damasco. Bernardo arriva in una
città e le strade si riempiono di gente. Ma, tornato in monastero, rieccolo
obbediente alla regola come tutti: preghiera,
digiuno, e tanto lavoro. Abbiamo di lui 331 sermoni,
più di 534 lettere, più i trattati famosi: su grazia e libero arbitrio, sul
battesimo, sui doveri dei vescovi... E gli scritti, affettuosi su Maria madre
di Gesù, che egli chiama mediatrice di grazie. Momenti amari negli ultimi anni:
difficoltà nell’Ordine, la diffusione di eresie e la sofferenza fisica.
Muore il 20 agosto 1153 per tumore allo stomaco. È seppellito nella chiesa del monastero, ma con la Rivoluzione francese i
resti andranno dispersi; tranne la testa, ora nella cattedrale di Troyes. Alessandro III lo proclama santo nel 1174. Pio VIII, nel 1830, gli
dà il titolo di Dottore della Chiesa.
Dopo la morte della madre, alla quale era molto legato, nel 1107, entrò in
una crisi che gli fece sentire lontano quel mondo di “donne, cavalieri, armi ed
amori” che era proprio della sua famiglia, e forte invece il desiderio di
cercare e trovare Dio nella pace e nella quiete del monastero, lontano dal
fragore e dalla violenza del mondo. Così a ventidue anni, nel 1112 si reca a
Citeaux, nel monastero diretto da Stefano Harding, assieme a trenta compagni.
Questo arrivo segnerà una svolta non solo per il monastero, ma nella storia
della Chiesa e dell’Europa occidentale. Anche se differenti nel temperamento,
Bernardo fece propria l’idea che aveva ispirato San Roberto di Moleste,
Alberico e Stefano. Questi si erano allontanati da Moleste nel 1098 per recarsi
in un luogo solitario a 20 chilometri da Digione, in un luogo chiamato Cistercium,
per seguire uno stile di vita più semplice e più rigoroso, recuperando lo
spirito e la lettera dell’antica regola benedettina, ormai inficiati dalla
grande potenza temporale acquisita dai monasteri clunicensi. Il luogo
originale, in cui Bernardo condivise i primi anni di una rigorosa vocazione,
stava però stretto a Bernardo, che, in cerca di solitudine, ma anche di luoghi
aperti e ameni per essere a più stretto contatto con Dio, lasciò Citeaux. Il nuovo
luogo sarà ancor più distante dal consesso civile, e si chiamerà Clairvaux ,
in italiano Chiaravalle. Qui divenne abate e qui rimase fino alla morte,
avvenuta nel 1156, nonostante numerosi viaggi, dispute (celeberrima quella con
Abelardo), la predicazione della seconda crociata e l’amministrazione
spirituale di un ordine, che alla sua morte contava più di 300 monasteri.
Possiamo dire che i quattro padri dell’ordine cistercense fondarono una
vera e propria scuola di spiritualità, di cui San Bernardo costituisce
il maestro indiscusso ed il punto di riferimento per le future generazioni di
monaci. La sua devozione per la vergine Maria e per il Bambin Gesù rimane una
caratteristica della sua spiritualità. La tradizione di chiudere la giornata di
preghiera con il Salve Regina deriva proprio da una sua idea. Bernardo sa
che la risposta al problema dell'uomo è il Cristo la cui misericordia è venuta
incontro alla nostra miseria. Perciò quando lui canta Maria, egli non perde mai
di vista la totalità del disegno di salvezza nel quale lei si trova avvolta:
«Come lo facevano la Sacra Scrittura, i Padri e la liturgia, egli - Bernardo -
colloca il mistero della maternità divina in una visione d'insieme
dell'Incarnazione, della sua preparazione e dei suoi effetti.
Per lui
tutta la bellezza di Maria è radicata, fondata nell'incarnazione.
Nelle Lodi
alla Vergine Madre, Maria è presentata come la donna amata, la creatura di cui
Dio si è innamorato e di cui aspetta con ansia il consenso: «O
Vergine, dà subito la tua risposta. O Signora, pronuncia la parola che
aspettano la terra, e gli inferi, e i cieli. Lo stesso "Re" e Signore
di tutte le cose, così come "ha desiderato la tua bellezza" così
anche sospira una tua risposta affermativa: in questa risposta appunto egli ha
inteso salvare il mondo. A lui sei piaciuta quando stavi nel silenzio, a lui
tanto più piacerai nella parola, dal momento che proprio lui ti chiama dal
cielo: "O bella tra le donne, fammi udire la tua voce"» (LVM 4, 8).
La prima
virtù che Bernardo esalta in lei è l'umiltà che altro non è che l'intima unione
dell'anima con la verità. Verità che associa la mente umana al Verbo, infiamma
la volontà sotto l'azione dello Spirito e rende l'anima senza macchia e senza
ruga preparandola alla contemplazione, all'unione con Dio (Cf. Hum 7,21).
L'umiltà è in Bernardo virtù principale, guardiana di tutte le altre,
coinvolgente l'anima in tutte le sue capacità: intelletto e volontà. Se
l'umiltà attrae lo sguardo di Dio è perché Egli può riempire liberamente con la
sua grazia il cuore che liberamente si riconosce privo di ogni merito. Perciò
Maria è il tesoro di Dio: «Dovunque ella si trovi - afferma Bernardo -, là è il
cuore di Dio: i suoi occhi sono fissi su di lei, ovunque guarda all'umiltà
della sua serva» (Annunciazione 3,7).
Il dono
della verginità che adorna l'umiltà e manifesta la sua carità fa di Maria la
«lampada ardentissima, più luminosa di tutte» (Assunzione 2,9). Perciò, la
verginità di Maria è riflesso di quella verità, di quella libertà, di quella
bellezza interiore che l'umiltà e la carità fanno risplendere nel suo cuore:
l'integrità del corpo è segno dell'integrità del suo spirito e pegno della sua
futura incorruttibilità ed esaltazione in cielo. Così la Vergine umile e amante
è tutta santa, santa nel corpo e nello spirito.
Ma la
bellezza di Maria acquista particolare intensità in virtù della fecondità
divina.
Quindi la bellezza di Maria è contemporaneamente
effetto e motivo dell'incarnazione: Dio prepara colei che sarà sua Madre e questa sua
bellezza lo attrae con tanta forza, con un desiderio così intenso che Egli esce
dal seno trinitario per incarnarsi nel seno di Maria. Il silenzio e lo
splendore del cielo é ritrovato da Dio nel silenzio e nella bellezza di Maria
raccolta ed orante, fedele ed amante: «Nell'anima di Maria - afferma
Bernardo - Dio si pasceva come tra una moltitudine di gigli. E non sono forse
altrettanti gigli la sua splendida verginità, la sua insigne umiltà e la sua
eccellente carità?» (Natività BVM 18).
Ma
l'incarnazione è anche fonte di bellezza in quanto dona a Maria una particolare
partecipazione nella missione del Figlio.
Maria
assunta in cielo diventa la regina a cui non mancano né il potere né il volere
di distribuire i beni divini agli uomini (Cf. Assunzione 1,2), diventa sorgente
di vita nuova per tutti coloro che sono ancora pellegrini sulla terra, luce,
guida, stella che conduce verso il porto di Cristo.
Maria non si
accontenta con l'essere la «piena di grazia», vuole riversare la vita divina
sul genere umano: «Maria chiede a Dio una sovrabbondanza di grazia per la
salvezza del mondo» (Natività
BVM 5). E proprio perché Maria è madre dell'Unigenito, perché portò nel suo
grembo la Carità che viene da Dio e rimase lei stessa ricolma di carità,
«ottiene sempre quello che domanda e non resta mai inesaudita» (Natività BVM
8). Bernardo afferma: «Sicuramente il Figlio esaudirà la Madre, il Padre
esaudirà il Figlio (...). Può forse il Figlio non accogliere la supplica della
Madre oppure non essere esaudito dal Padre? Assolutamente no» (Natività BVM 7).
Egli prediligeva per la preghiera luoghi aperti ed ameni, valli luminose e
vicine ai corsi d’acqua. Da qui l’abitudine, tutta cistercense, di fondare
monasteri nelle valli. Ben tre città in Italia ci ricordano quindi, con il
nome Chiaravalle, la loro fondazione per opera dei monaci di
San Bernardo. Umiltà, amore verso Dio con un cammino di unione del cuore, duro
lavoro nei campi e profonda devozione mariana sono alcuni dei tratti della
spiritualità di San Bernardo. Spirito che si riversa anche nelle strutture
architettoniche dei monasteri e delle chiese abbaziali, prive o quasi di
decorazioni e tutte slanciate verso l’alto. La sua riforma spirituale quindi
segna il passaggio nell’arte dal romanico al gotico. Egli, come tutta la
spiritualità monastica, vede la vita spirituale come un cammino fatto di gradi
di perfezione, per essere sempre più uniti all’amore di Dio. Amore che si
riversa poi sul prossimo, in quanto si ha la piena consapevolezza di essere
tutti peccatori. Egli fu anche scrittore molto prolifico: trattati,
lettere, prediche, poemi, un “corpus” di scritti che occupa un posto molto
rilevante nella storia medievale, e che lo pone come il terzo “padre”
medievale, dopo S. Gregorio Magno e S. Benedetto da Norcia.
Egli fu quindi quel faro di luce spirituale che avrebbe illuminato tutta
l’Europa occidentale del XII secolo. Fu infatti capace di recuperare in maniera
originale e geniale tutto il pensiero cristiano precedente a lui, pur in
una prospettiva monastica e benedettina. Egli, a differenza dei clunicensi, non
vede infatti l’uomo semplicemente come un peccatore, ma come una creatura
buona, capace cioè di recuperare sempre la dimensione d’amore verso Dio e verso
il prossimo. L’uomo, con il peccato ha deformato questa immagine, ma proprio attraverso
l’Incarnazione del Figlio di Dio e la disponibilità di Maria
Santissima, Dio può riformare l’uomo a sua immagine. L’uomo è chiamato a
prendere parte a questa opera, con la conversione e l’ascesa dell’anima verso
Dio, descritta nel trattato De diligendo Deo. L’Incarnazione quindi
occupa un posto centrale nella spiritualità cistercense. Questa esperienza
chiama l’uomo alla sequela di Cristo che, fatta nell’oscurità della fede, si
attua nella carità.
Ma San Bernardo non fu solo un mistico chiuso in un monastero, lontano dal
mondo e tutto teso alla ricerca spirituale di comunione con Dio. Egli, spirito
indomito e combattente, vero cavaliere dello Spirito, partecipò attivamente
anche alle turbolente vicende della Chiesa e dell’Europa occidentale del suo
tempo.
In effetti San Bernardo rivolse parole di esortazione e di rimprovero, di
incoraggiamento e di aiuto, di luce spirituale e di fede a tutte le
categorie della società del suo tempo, divenendo un punto di riferimento per la
sua epoca. Senza di lui il XII° sec. e la civiltà feudale che egli rappresenta
forse non sarebbero stati gli stessi. Ma fondamentalmente egli fu prima di
tutto un uomo di preghiera in un tempo di guerre, crociate, odi e violenze private.
Ecco una frase che introduce il suo “De diligendo Deo”: “In Dio
voglio vivere e in Dio morire: per me preghiere e non domande.”
(Domino vivere et in Domino mori. Orationes a me
et non quaestiones)
Un uomo che quindi prediligeva la preghiera alle dispute filosofiche (dette
appunto quaestiones) e che preferì la quiete del monastero
alla nobile arte della cavalleria e della guerra. Una scelta quanto mai
attuale.
*FONTI:
·
GIOVANNI PAOLO II, Un maestro di amore incondizionato verso Cristo,
la Vergine e la Chiesa Lettera per il IX centenario della nascita di San
Bernardo, Roma, 20 agosto 1990;
·
PROF.SSA EVA CARLOTTA RAVA - Docente
di teologia spirituale nella Pontificia Università Lateranense. (Estratto
da Lateranum, anno LXII, 1996, n.2; da Vita Nostra, Rivista
Cistercense).
·
S. BERNARDO DI CHIARAVALLE, I Sermoni per le
feste della Beata Vergine Maria, ed. Paoline 1990
Brescia,
18 agosto 2022.
Parrocchia
di S. Bernardo in Costalunga, elevazione spirituale in occasione della festa
patronale.
Celebrare la festa di un Santo vuol dire metterci alla sua scuola …
Chi
è S. Bernardo? È vissuto quasi 1.000 anni fa (nato nel 1090), terzo figlio di
un signore di piccola nobiltà della Borgogna. Ha respirato il clima
cavalleresco della gioventù del suo tempo. Ha deciso di dedicarsi alla vita
monastica a Digione nell’abbazia cistercense di Cîteaux, voluta da Roberto di
Molesme per una più stretta osservanza della regola di S. Benedetto … fondatore
lui stesso di un monastero a Clairvaux …
Ma
cosa ha da dire alla nostra vita? S. Bernardo ci parla in quanto “uomo di Dio”:
un uomo … caratterizzato da una forte aggressività e dalla tendenza a dominare
(cfr. J. Leclercq, Opere di San Bernardo,
vol. I, Città Nuova, Milano 1984, p. xviii), animato da una grande fede … che
lo rende umile, consapevole dei propri limiti, che sa riconoscere davanti a Dio
e ai suoi fratelli, desideroso di seguire Cristo e di conformare a lui la
propria vita.
Di
questa relazione Bernardo ci parla, col suo fervore e anche con la sua capacità
espressiva, e per questo motivo diventa attuale per noi …
Più
che parlare di lui, lasciamo parlare lui, lasciando risuonare alcuni testi
tratti dai Sermoni sul Cantico dei
Cantici.
«Il Padre ama il Figlio e lo abbraccia con una singolare dilezione, il sommo abbraccia l’uguale, l’eterno il coeterno, l’uno l’unico. Ma, a dire il vero, egli viene circondato dal Figlio con un affetto non minore, poiché questi, per suo amore, giunge sino alla morte, come egli stesso testimonia quando dice: “Affinché tutti sappiano che amo il Padre, alzatevi, andiamo” (Gv 14,31), senza dubbio verso la passione. Perciò, quella reciproca conoscenza, che allo stesso tempo è anche amore, tra colui che genera e colui che è generato, cosa è se non un bacio, soavissimo, ma segretissimo?» (CC VIII, 1,1).
Il
santo porta i suoi nel mistero dell’amore più intimo, che unisce il Padre e il
Figlio, in una unità che non cancella le differenze:
“Bacio
sommo”: così S. Bernardo definiva lo Spirito Santo (CC VIII, 1,1), ed è proprio questo a rendere possibile la nostra
relazione con la Trinità.
Di
questo “bacio” Cristo ha reso partecipi i suoi, gli Apostoli, la Chiesa
primitiva dopo la risurrezione: «Soffiò su di loro e disse: “Ricevete lo
Spirito Santo” (Gv 20,22)». E Bernardo commenta: «Si trattò certamente di un
bacio. […] è l’imperturbabile pace del Padre e del Figlio, il saldo vincolo,
l’indivisibile amore e l’indissolubile unità» (VIII, 1,2).
Che
cosa permette questo dono? Di entrare nel mistero dell’amore che anima le
persone divine, che significa “conoscere il Padre e il Figlio” (cfr. Gv 17,3 e
VIII, 2,3), di una conoscenza che non è astratta, ma che è “partecipazione”[1]
alla vita stessa di Dio. S. Bernardo in questo senso insiste: «la rivelazione
che avviene per mezzo dello Spirito Santo non solo illumina per la conoscenza,
ma accende anche all’amore» (VIII, 2,5).
Si
può conoscere senza amare: è un sapere astratto, ideale, senza quella relazione
che nasce dalla consapevolezza umile di ciò che Dio ha fatto per noi attraverso
il suo Figlio, che «volle nascere nella carne e morire per la loro redenzione»
(VIII, 3). È a questa relazione che lo Spirito vuole aprirci.
Riecheggiando
l’insegnamento che era di S. Agostino (354-430) e poi di S. Anselmo (1033-1109),
S. Bernardo sottolinea che non esiste vera intelligenza del mistero di Dio
senza l’amore: conoscenza e amore si richiamano e si integrano a vicenda.
Per
usare ancora le parole del Santo:
«la
grazia del bacio reca insieme entrambi i doni: la luce della conoscenza e la
ricchezza della devozione. È proprio lo Spirito di sapienza e di intelletto
che, come l’ape che porta la cera e il miele, ha certamente di che accendere il
lume della scienza e di che infondere il sapore della grazia. Perciò, nessuno
dei due pensi di avere ricevuto il bacio, né chi comprende la verità, ma non
l’ama, né chi l’ama, ma non la comprende» (VIII, 4,6).
E al termine del discorso:
«felice il bacio per mezzo del quale non solo si conosce Dio, ma si ama il Padre, il quale in nessun modo può essere pienamente conosciuto, se non quando viene perfettamente amato. Quale anima tra voi ha sentito qualche volta, nel segreto della propria coscienza, lo Spirito del Figlio che gridava: “Abba, Padre”? Questa, questa presuma di essere amata con amore paterno, lei che si sente animata dallo stesso spirito dal quale è animato il Figlio. Abbi fiducia, chiunque tu sia, abbi fiducia senza esitare. Nello Spirito del Figlio riconosciti figlia del Padre, sposa del Figlio e sua sorella» (VIII, 7,9).
Dove si esprime questa relazione?
La
Chiesa è il luogo attraverso il quale l’amore di Dio, che come profumo è stato
“infuso” nei cuori dei credenti, può essere “effuso”.
L’operazione
dello Spirito Santo è duplice:
«la prima, con la quale inizialmente ci rende saldi interiormente per mezzo delle virtù, in vista della salvezza; la seconda, invece, con la quale ci adorna, anche esteriormente, di doni per mezzo dei quali conquistare altri» (XVIII, 1,1).
Due sono i rischi dai quali S. Bernardo mette in guardia:
·
quello
di trattenere i doni: «Tu certamente trattieni per te ciò che è del prossimo
se, ad esempio – essendo ricco di virtù e ornato all’esterno di doni di scienza
ed eloquenza – per paura forse, o per pigrizia, o per un’umiltà priva di
discernimento, chiudi in un silenzio inutile, anzi riprovevole, la buona parola
che potrebbe giovare a molti» (XVIII, 1,2)
· ma anche quello di disperdere la forza che viene da Dio, senza avere la giusta cura per se stessi, per lasciarsi riempire da Lui: «spargi e disperdi ciò che è tuo se, prima di essere tu stesso completamente colmato, pieno solo a metà, ti affretti a effondere […] In questo modo defraudi te stesso della vita e della salvezza. […] Per questo, se sei saggio, ti dimostrerai conca e non canale. Il canale, quasi istantaneamente riceve e riversa; la conca, invece, attende fino a quando è ricolmata, e così condivide, senza proprio danno, ciò che è sovrabbondante» (XVIII, 1,2-3). Da qui l’ammonimento: «In verità, oggi ci sono nella Chiesa molti canali, ma ben poche conche. […] più disposti a parlare che ad ascoltare, pronti a insegnare quello che non hanno imparato, impazienti di dirigere gli altri, essi che non sanno governare se stessi» (XVIII, 1,3).
Non possiamo dimenticare di essere “conca” dell’acqua e non “Sorgente”: sorgente del bene è Dio solo e da Lui tutti dobbiamo attingere. Se è così, «Impara anche tu a non effondere, se non dalla tua sovrabbondanza, e a non voler essere più generoso di Dio . […] La conca non si vergogni di non essere più abbondante della propria sorgente» (XVIII, 2,4).
Il
frutto dello Spirito “effuso” è la gioia di corrispondere all’amore con l’amore.
La
Chiesa gioisce di questo: di sapersi amata e perdonata e per questo ancora
capace di amare … ad immagine del Verbo, del Figlio.
«L’anima deve essere per mezzo del Verbo riformata, a lui conformata. In che cosa? Nella carità. […] Che cosa è più gioioso di questa conformità? Che cosa più augurabile della carità, per la quale avviene che, non contenta dell’insegnamento umano, per te stessa, o anima, accedi fiduciosamente al Verbo, aderisci al Verbo costantemente, interroghi familiarmente il Verbo e lo consulti su ogni cosa, quanto capace nell’intelletto, tanto audace nel desiderio? Veramente questo è il contratto di uno spirituale e santo connubio. Ho detto poco, contratto: è un abbraccio. Un abbraccio, sicuramente, dove volere le medesime cose e non volere le medesime cose fa di due un unico spirito» (LXXXIII, 1,2-3).
Essere
conformata al Figlio vuol dire, per la Chiesa e per ciascuno di noi, volere le
stesse cose che vuole il Verbo, il Figlio … significa raggiungere il massimo
grado di libertà:
*
resi da lui capaci di amare, oltre il timore o il desiderio di una ricompensa
(LXXXIII, 2,4-5: «Da schiavi è il timore, finché non viene affrancato
dall’amore»).
*
contenti di poter corrispondere all’amore di Dio, secondo la misura delle
creature, che non possono mai uguagliare il loro Creatore (LXXXIII, 3,6: «anche
se la creatura ama meno, poiché è minore, però – se ama con tutta se stessa –
non manca niente dove c’è tutto»).
«L’amore, oltre sé, non ricerca causa, non frutto: il suo frutto è il suo uso. Amo perché amo; amo, per amare. Grande realtà l’amore: se però ritorna di corsa al suo principio; se, ridato alla sua origine, se, rifuso alla sua fonte, sempre ne assuma di che fluirne ininterrottamente. L’amore è il solo – fra tutti i moti, i sensi e gli affetti dell’anima – in cui la creatura può rispondere al suo Creatore, anche se non in ugual modo, o ricompensare da simile con mutua vicendevolezza. […] Infatti, quando Dio ama, non altro vuole che essere amato; proprio non ama per altro, se non per essere amato, sapendo beati dello stesso amore quelli che lo ameranno» (LXXXIII, 2,4).
[1] L’idea di “partecipazione”, di
origeniana memoria, viene ripresa al termine del discorso: «Per Cristo, dunque,
il bacio è pienezza, per Paolo partecipazione, così mentre il primo si gloria
di essere baciato dalla bocca, il secondo solo dal bacio» (VIII, 7,9). Noi
partecipiamo per grazia a ciò che Cristo possiede per natura: l’amore stesso di
Dio!
Costalunga - venerdì 18/08/2023 ore 20.30
Mediazione durante una elevazione spirituale per la festa patronale
Sono stato convocato come conoscitore di Bernardo di Chiaravalle (1090-1153). In realtà, se devo esibire un titolo, l’unico possibile è la familiarità di lunga data con i monaci cistercensi di Chiaravalle Milanese.
Bernardo, a me seminarista diciassettenne curioso di cosa fosse un monastero, si è presentato come uomo di potenza affascinante e trasformante. Ho poi scoperto che lo è stato davvero:
1. nella sua comunità (aprirà comunità monastiche a raffica, qualificate per un nuovo equilibrio tra liturgia e lavoro agricolo e allevamento, non da ultimo la nostalgia della sua comunità mentre peregrinava per l’Europa);
2. nella società ecclesiale (contro l’antipapa Anacleto) e civile (pacificatore a Milano, ad esempio, che gli donerà i terreni per una sua fondazione, appunto Chiaravalle Milanese);
3. nelle devozioni popolari (a Maria, all’umanità di Cristo e alla sua passione con la piaga sconosciuta sulla spalla).
Affascinante e trasformante, perché affascinato da Gesù e da Maria! Un grande nel suo essere in relazione con Dio, con il mondo, con i suoi per coltivare speranza e offrire una manciata di luce (“lampada che arde e risplende”).
Accennavo all’abbazia di Chiaravalle Milanese. E da qui inizio per entrare nel tema. Attingerò a fonti diverse per arricchire i ricordi personali.
Ogni ora liturgica chiude con un’antifona mariana e poi ogni giorno termina con il canto della Salve Regina, in tono solenne. La tradizione vuole che questa antifona sia stata completata proprio da san Bernardo: “o clemens, o pia, o dulcis Virgo Maria”. In questa stagione risuona nella penombra, ma nella maggior parte dell’anno, in modo assai più suggestivo, nel buio totale rotto solo dal tremolio delle due o tre candele dell’altare e dalla voce dei monaci, dopo che la “ciribiciacola” ha chiamato alla preghiera. Tutta la preghiera e il tempo sono, per così dire, nell’abbraccio di Maria.
È consapevolezza comune che San Bernardo sia uno dei più grandi innamorati della Vergine (“cetra di Maria”). Per inciso: nel 1830 Papa Pio VII lo ha dichiarato Dottore della Chiesa per ricordare il grande devoto di Maria, che con la sua opera ha dato gloria alle parole del Cristo poiché solo Lui è l’assoluto di Bernardo.
Innamorato cantore di Maria il nostro santo lo è in vari sermoni: qui ci orienta il titolo dato alla vostra festa patronale. “Respice stellam, voca Mariam - Guarda la stella, invoca Maria”. Viene dalle pagine dedicate al commento dell'annunciazione nel mercoledì della terza settimana d’Avvento. Secondo l’antica tradizione monastica l’abate, alla comunità riunita in capitolo, teneva una omelia sul testo di Luca: è l’omelia “Super Missus”. Nella II Homilia super Missus est troviamo la celebre esortazione in cui l’abate di Clairvaux manifesta il suo amore per la Madonna, ma anche insegna ai suoi monaci e a noi come valorizzare il dono che Maria è per noi.
Guarda la stella, invoca Maria è forse il più celebre brano mariano composto dal “tenero cantore della Madonna” (papa Francesco 2020). È un pressante invito ad invocare Maria, stella del mare, perché illumini il cammino spirituale del cristiano.
“Se insorgeranno i venti delle tentazioni
se incorrerai negli scogli delle tribolazioni
Guarda la stella invoca Maria
Se sarai sbattuto dalle onde della superbia,
E dell'ambizione, della detrazione, della rivalità aspra
Guarda la stella, invoca Maria
Tu che capisci come in questo scorrere del tempo
siamo come naufraghi sbattuti tra tempeste e marosi piuttosto che gente che cammina sulla terra solida, non distogliere lo sguardo da questa stella, se non vuoi essere travolto dalle tempeste
Se l'iracondia, o l'avarizia, o il desiderio disordinato avranno sconquassato la navicella della tua mente,
guarda la stella, invoca Maria.
Se turbato dalla grandezza dei tuoi delitti
confuso dalla coscienza del tuo grande errore
Seguendo Lei, non sbagli strada
Pregando Lei, non sarai disperato
Pensando Lei, non cadi in errore
Se Lei ti tiene, non cadrai
Se Lei ti protegge, non avrai paura
Se Lei ti guida, non ti stancherai
Se Lei ti è propizia, giungerai alla meta”.
(Hom. II super «Missus est», 17: PL183, 70-71).
Lungo la strada incontreremo sempre il dolore e conosceremo il morire: sia l’uno che l’altro fanno parte della nostra vita. Niente di strano, se la cosa ci fa un po’ paura... ma ecco l’invito: guarda Maria per vedere, anche nelle dimensioni di povertà e limite, umanità e fiducia.
Lei aiuta a capire dove sto andando lungo la strada dei miei giorni e a crescere nella fiducia nel Signore. Non posso sciupare nella banalità il tempo, le situazioni, le relazioni…
E soprattutto Maria ci aiuta a capire che c’è lei che ci accompagnerà da suo Figlio e gli parlerà di me che le ho voluto bene. Di me e di noi. Permettete un accento: gli parlerà di noi! Impariamo a gustare questo tratto: mentre stai pregando Maria e con Maria, non sei solo perché altri pregano come te la Madre della Chiesa. Questo ci aiuterà a capire non solo che abbiamo una madre premurosa e dolcissima, ma che è bello avere una famiglia, è bello vivere in comunità.
La vita in Cristo non si improvvisa. L’abate di Chiaravalle ne è più che convinto, ma lo sappiamo anche noi. E Maria “donna feriale” accompagna nel quotidiano. In At 1,14 “Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui”. Erano assidui e concordi. Luca non aggiunge, ma possiamo pensare che Maria fosse lì proprio a favorire tale concordia! Senza giudicare gli altri, senza scandalizzarsi (Giuda, Pietro… con amabilità e dolcezza di madre. Da Maria a Bernardo: innamorato di Maria per diventare capace della scelta radicale per Gesù. Da Bernardo a noi. A che serve guardare la stella, invocare Maria? Ella “favorisce”. In un sermone In nativitate beatae Mariae scrive: “tale è la volontà di Colui, che ha voluto che noi avessimo tutto per mezzo di Maria”.
Bernardo, additandoci la stella Maria, vuole infondere coraggio a chi si mette in cammino verso il Signore. Ella ci “favorisce”
- per una apertura del cuore
- per una guarigione interiore
- per una illuminazione
- per una protezione dai dardi del maligno
- per imparare ad ascoltare
- per creare concordia.
Maria assunta al cielo è la patrona dell’Ordine Cistercense. La Vergine Maria, specie nel mistero dell’Assunzione al cielo, è il “punto in cui il bene ricomincia”. L’espressione è recente, ma mi sembra esprimere anche il nostro.
Quella di Maria è una vicenda unica poiché lei sola “aveva reso Dio figlio dell’uomo e gli uomini, figli di Dio” (G. Palamas). La Chiesa la contempla Madre del suo Signore nella pienezza della felicità di Dio, immersa nell’amore della Trinità, nella totalità della sua persona umana. Ella è stata trasportata in modo pieno e definitivo dall’amore e nell’amore di Dio. È stato il suo desiderio di tutta la vita: riunirsi al suo Dio e al suo Figlio. È così forte l’irruzione della gloria e dell’amore divino che la natura non regge più. Prima Cristo e subito dopo Maria. Ma sarà anche il nostro destino futuro. Vale la pena di esse docili all’azione dello Spirito Santo. Il Magnificat ce ne dà una buona traccia.
Celebre è la preghiera del Memorare, comunemente attribuita al santo. Struggente la musica e l’interpretazione di Mina, qualche anno or sono. Vigorosa e brillante la melodia del gregoriano, con una sola leggerissima sospensione quando ci si riferisce al Verbo. Questo testo è tutto quel che si può immaginare di più franco e ardito nella linea della fiducia filiale. È una santa provocazione, dettata da una fede incrollabile e da un amore che ignora meschinerie:
“Ricordati, o piissima Vergine Maria, non essersi mai udito al mondo che alcuno abbia ricorso al tuo patrocinio, implorato il tuo aiuto, chiesto la tua protezione e sia stato abbandonato. Animato da tale confidenza, a te ricorro, o Madre, Vergine delle Vergini, a te vengo e, peccatore contrito, innanzi a te mi prostro. Non volere, o Madre del Verbo, disprezzare le mie preghiere, ma ascoltami propizia ed esaudiscimi. Amen”.
Tra santi ci si intende: Madre Teresa di Calcutta era molto legata alla devozione alla Vergine e alla preghiera del Memorare. La recitava in modo speciale ogni qual volta avesse necessità di domandare particolari grazie all'intercessione di Maria. In queste occasioni era solita recitare il Memorare, da sola o insieme alle consorelle, per nove volte consecutive per nove giorni consecutivi. Al termine della novena, Madre Teresa ne accompagnava poi una seconda, in ringraziamento, certa del ricevimento della grazia richiesta.
Molti secoli prima, Dante nel suo camminare, dopo Virgilio e Beatrice, si affida a Bernardo perché lo introduca alla visione di Dio Trinità. E lui inizia quella formidabile lode a Maria “Vergine Madre, figlia del tuo Figlio”…
Il Poeta aveva intuito il ruolo di mediatrice che Bernardo riconosce alla Madonna, l’avvocata capace di intercedere per noi presso il Signore, la Madre della Misericordia che esercita la mediazione perfetta, una sorta di acquedotto (l’ardito paragone è di Bernardo stesso ed è l’unico simbolo mariano che il santo non ha attinto dalla Sacra Scrittura!) che conduce sino a noi il fiume della Grazia. Qualche teologo storce un poco il naso su questo insegnamento perché l’abate di Chiaravalle tende a mettere Maria al di sopra più che dentro la Chiesa… Nella sua visione la Vergine è mediatrice tra Cristo e la Chiesa, la Chiesa è mediatrice tra Dio e l’uomo…
Questo titolo di mediatrice è fonte di grande confidenza e riconoscenza a Maria, per ricordarla e invocarla: “Mariam cogita, Mariam invoca”. La Vergine è la via per la quale il Salvatore scese a noi; noi dobbiamo salire a Lui per mezzo di Maria. “La Vergine è la via regale” e da lì passano le aspirazioni del cuore di Bernardo. Maria è mediatrice e dispensatrice d’ogni grazia; genera Gesù nelle anime e restaura la dignità della libertà umana. L’azione di Maria si esercita comunque insieme a quella del Cristo. Le sue prerogative sono esemplari alla nostra vita.
Mi avvio a conclusione. Bernardo conclude il De Consideratione, scritto a un suo figlio spirituale diventato papa Eugenio III: “Dovrebbe proseguire ancora la ricerca di questo Dio, che non è ancora abbastanza cercato, ma forse si può cercare meglio e trovare più facilmente con la preghiera che con la discussione. Mettiamo allora qui termine al libro, ma non alla ricerca”, all’essere in cammino verso Dio. La Vergine è per il santo abate una dolcissima, incoraggiante ed efficace socia per tale ricerca, non una speculazione intellettuale, ma esperienza personale e profonda di Gesù Cristo e della sua amicizia.
Valga anche per noi, insieme a un ultimo ricordo. In ogni monastero cistercense una scala collega la chiesa con il dormitorio. Una scelta di praticità per la preghiera notturna, ma impreziosita da una scelta spirituale: la Madonna della buonanotte, ultima immagine per lo sguardo dei monaci. A Chiaravalle milanese quella ancora ben visibile è opera di Bernardino Luini (1512). Sarebbe bello anche per noi imparare a chiudere gli occhi nel merito riposo con un’immagine di Maria ad abitare mente e cuore: sarà lei a favorire una notte serena e una ricarica di energie da spendere per il vantaggio del prossimo.
San Bernardo 2023, riflessione a cura di Don Agostino Bagliani.
Nessun commento:
Posta un commento